Fino agli anni Ottanta in Italia sembrava che la televisione dovesse dominare incontrastata la scena della comunicazione, ma il successo della scatola elettronica non ha impedito che per molto tempo la stampa continuasse a scandire la gerarchia e i tempi delle notizie. Era ai quotidiani che toccava l’informazione “alta”, mentre i telegiornali (all’epoca solo o quasi quelli della Rai) avevano un ruolo subordinato, se non ancillare.
La concorrenza tra informazione scritta e informazione filmata ha conosciuto, tuttavia, un riequilibrio negli anni successivi, quando la Tv aveva ormai conquistato un ruolo protagonista. Le “scelte” dei telegiornali, in particolare quelli serali, diventarono non secondarie in quello che il giorno successivo avrebbero fatto i quotidiani, e “ignorare” tali scelte in prima pagina avrebbe significato disorientare il pubblico dei lettori che, con ogni probabilità, era stato informato proprio da un Tg ancor prima che dalla carta stampata [1]. D’altra parte la platea del piccolo schermo è, ed è sempre stata, infinitamente più grande del pubblico dei giornali. Ma dalla fine degli anni Novanta nelle case degli italiani sono entrati i computer, e nessuno avrebbe immaginato che da lì a breve sarebbero diventati degli elettrodomestici di uso abituale capaci di ridimensionare velocemente il ruolo delle testate.
Che cosa ha provocato questa accelerazione? Sicuramente la vera globalizzazione nel mondo della comunicazione rappresentata per definizione da internet: una realtà che ha ricevuto uno stimolo incredibile dalla crescente velocità di trasmissione nella Rete. L’allargamento della banda larga ha favorito lo scambio di messaggi via via più complessi: prima solo testo, poi anche immagini, quindi l’audio e infine filmati completi. Elementi che avrebbero dovuto far scattare i campanelli d’allarme fra gli oligopolisti (internazionali e nazionali) dell’informazione, senza attendere il manifesto calo delle vendite dei quotidiani accelerato, peraltro, dal fenomeno della free press [2]. Invece sia i networks che le istituzioni preposte a favorire la partecipazione politica dei cittadini, come i partiti, hanno sottovalutato a lungo internet: prima l’hanno considerato un evento di nicchia, poi, al massimo, un fenomeno destinato al mondo giovanile, cioè a coloro che nel giro di qualche anno sarebbero diventati adulti “occupando” i posti privilegiati della società. È stata una palese sottovalutazione della realtà.
Il mondo dell’informazione italiana si presenta dunque in modo assai diverso da come è stato nei primi quarant’anni di repubblica, e la possibilità che possa innescare un meccanismo virtuoso, per conferire un ruolo centrale all’opinione pubblica, rappresenta probabilmente una delle sfide più ambiziose del nuovo millennio. L’atteggiamento nei confronti dei media digitali continua ad essere in parte di diffidenza, anche se certamente questo non vale tanto per gli utenti giovani quanto per le generazioni cresciute con il giornale ripiegato nella tasca o sotto il braccio.
Nel progressivo decrescere del potere dell’informazione cartacea non aiutano, inoltre, le scarse risorse economiche messe a disposizione per la ricerca e l’innovazione tecnologica, e perfino una certa avversione da parte delle associazioni di categoria che tentano di contenere, se non di ostacolare, i cambiamenti cui la professione giornalistica va incontro [3]. Sembra resistere l’idea che ci sia un giornalismo di serie A, quello della stampa scritta, e uno di serie B, quello di radio e televisione che comunicano meno notizie e in forma più compatta, da ultimo uno di serie C, quello che si può trovare in Rete, che pure mette insieme potenzialmente lo scritto, l’audio e il video. Il rischio di questa inadeguatezza economica e culturale a fronteggiare i nuovi sviluppi della comunicazione è quello di trovarsi, a breve, di fronte a un ritardo che diventerà troppo difficile da colmare in conseguenza di fattori che agiscono congiuntamente.
La definizione del concetto di informazione non è quindi un passaggio secondario, perché nonostante il termine sia spesso evocato non di rado è usato con un’accezione così ampia da non permetterne un riscontro empirico. Infatti, una definizione univoca del concetto non esiste; qui se ne propone una operativa partendo dall’etimologia della parola.
In latino il sostantivo informatio indica una «raffigurazione mentale, idea, immagine, nozione», mentre il verbo informo significa «dare forma, […] formare, modellare […] educare, istruire […] formarsi nell’animo un’idea, un concetto, una nozione» [4]; l’informazione si configura come «un processo socialmente determinato in cui alcuni dati dotati di senso vengono scambiati all’interno di un flusso comunicativo» [5]. I contenuti dell’informazione sono quindi i potenziali prodotti per il mercato digitale in espansione, ma anche i più efficaci per quello politico se volesse uscire dal torpore che lo contraddistingue. Tutto ciò a patto che all’opinione pubblica sia riconosciuto un ruolo attivo nel processo democratico e non uno limitato alla partecipazione elettorale. Informare è anche la capacità di trasformare qualcosa di ignoto in altro noto e comprensibile, da cui l’esigenza di disporre di mezzi idonei a limitare i margini di incertezza [6].
A questa accezione ampia del termine, nella quale si potrebbe far rientrare qualsiasi tipo di dato (contenuto) trasmesso, se ne può affiancare una più ristretta e più efficace a fini euristici. Il «problema dell’informazione», in effetti, è sorto nel pensiero contemporaneo solo quando è stato necessario interpretare e ridurre l’enorme quantità di messaggi offerti dalle società aperte, ovvero quando si è imposta una mentalità analitica per comprendere i desideri e i bisogni adatti a pianificare la vita comune [7], sia dal punto di vista politico che da quello socio-economico.
La definizione di informazione proposta considera pertanto l’aspetto relazionale della comunicazione come una possibilità, per i soggetti emittenti e riceventi, di scegliere i contenuti, tra i diversi proposti, ritenuti utili a produrre conoscenza e a stimolare una maggiore partecipazione sociale e politica. Da questo punto di vista è ovvio che l’informazione possa «giocare un ruolo specifico nelle dinamiche di potere: ne consegue che essa non è sempre gratuita, ma si inserisce in un mercato in cui essa stessa diviene oggetto di scambio e modalità di attivazione di tale scambio» [8].
Così inteso, il concetto può essere efficacemente delimitato e ricondotto a quello di «informazione giornalistica»: «Essa è un settore della produzione culturale volto alla produzione e alla diffusione di notizie, vale a dire di prodotti culturali consistenti in resoconti di fatti documentabili, o in commenti soggettivi e opinioni rilevanti dal punto di vista sociale (corsivi dell’autore)» [9]. Le notizie, prosegue Stazio, devono però avere alcune caratteristiche imprescindibili: appartenere a una certa varietà di contenuti, rivolgersi a un pubblico, essere attuali e di interesse generale; tutte caratteristiche non oggettive che vengono attribuite a un evento solo quando le redazioni accettano di trasformarlo in una notizia, ovvero in un prodotto spendibile giornalisticamente. Un criterio, questo, che in parte salta con la diffusione dei media digitali quando essi tolgono alle redazioni il “monopolio della scelta” [10].
Note
[1] Per una storia critica del giornalismo si veda G. Gozzini (2000). Storia del giornalismo. Milano: Mondadori.
[2] La free press non ha influito sottraendo lettori ai quotidiani a pagamento, ma assorbendo la loro parte di introiti pubblicitari.
[3] Sui cambiamenti recenti relativi alla professione giornalistica si veda P. Scandaletti (A cura di). (2011). Dalla parte del lettore. Roma: Ucsi-Unisob-Cdg.
[4] L. Castiglioni, S. Mariotti (1989). Vocabolario della lingua latina. IL: latino-italiano, italiano-latino. Torino: Loescher, pp. 730-731.
[5] F. Colombo (A cura di). (2005). Atlante della comunicazione. Milano: Hoepli, p. 163.
[6] Sul concetto di informazione nelle scienze sociali si veda E. Paci (1967). Informazione e significato. Archivio di filosofia, (Filosofia e informazione)(1), pp. 37-53.
[7] Cfr. P. Filiasi Carcano (1967). Il ruolo del concetto d’informazione nelle scienze umane e in filosofia. Archivio di Filosofia, (Filosofia e informazione)(1), pp. 11-29.
[8] F. Colombo (A cura di). (2005). Atlante della comunicazione. Milano: Hoepli, p. 163.
[9] M. Stazio (A cura di). (2003). L’informazione giornalistica. Napoli: Ellissi, p. 11.
[10] Gli studi sui processi produttivi delle notizie, detti newsmaking, cercano di comprendere come le dinamiche legate all’organizzazione redazionale e ai ruoli professionali possano incidere nel processo di costruzione della notizia. Sull’argomento si veda B. Roshco (1975). Newsmaking. Chicago-Londra: The University of Chicago Press; G. Tuchman (1978). Making News. A Study in the Construction of Reality. New York-London: Collier Macmillan. L’internet ha introdotto un diverso modo di gestire le notizie, perché gli utenti possono a loro piacimento inserire contenuti testuali, audio e video. Tuttavia, affinché questi diventino notizia, stimolando domande e determinando fenomeni di partecipazione collettiva, devono comunque risultare “attraenti” secondo i criteri di notiziabilità.